Mostra presso FEDELE STUDIO
Nocera Inferiore, 20 Dicembre 2019

 

Locus Solus, ovvero spazio tropologico e sguardo in-Fedele

Massimo Maiorino

«L’esperienza di Roussel si situa in quello che potremmo chiamare “spazio tropologico” del vocabolario. Spazio che non è […] considerato come luogo di nascita delle figure canoniche delle parole, ma come uno spazio bianco sistemato nel linguaggio, e che apre all’interno stesso della parola il suo vuoto insidioso, desertico e pieno di trappole» (Foucault 1978). Così la scrittura incomparabile di Foucault varca la soglia di Locus Solus (1914) - testo labirintico senza uscita di significati scritto da Raymond Roussel - e designa, nell’«immenso parco» rousseliano, l’incontro segreto tra linguaggio e spazio, tra ombra ed enigma, tra doppio ed identico. Figure ambigue di un procedimento logico inteso a «costruire una realtà interamente concepita, che sia un estremo rifugio, un mezzo di salvezza nei confronti della realtà quotidiana che è continuamente doublure» (Dècina Lombardi 1975). Su queste coordinate Ferdinando Fedele, sin dalla metà degli anni Novanta, ha orientato il suo itinerario artistico ed ora ha costruito il complesso dispositivo che determina l’installazione/esposizione Locus Solus (2019). Dunque l’opera come costruzione di linguaggio che nei suo avvolgimenti suggerisce spazi - «Le parole sono un materiale plastico con il quale si può fare di tutto» scrive Freud (Freud 1975) -, apre varchi verso la realtà che può essere solo doppiata, citata, messa in scena, mai posseduta. Simbolo della ricerca di Fedele è il profilo di Paolo Veronese desunto dal dipinto Cena in casa Levi (1573) ed affidato alla semantica del francobollo - Verde Veronese (1996) e Rosso Pompeiano (1996) - «il mezzo figurativo più stringato e concentrato di propaganda» (Zeri 1993). L’iconico autoritratto del Veronese - eretico ed “in-fedele” ai dettami della Controriforma - è emblema dell’artista «che ha perso ogni frontalità con il mondo e ha acquistato una velenosa posizione di lateralità, da cui osservare la realtà» (Bonito Oliva 1997), una strategia che Fedele traduce in uno sguardo deviato proponendo una concezione tautologica dell’arte che si chiude sul proprio linguaggio in una concatenazione di metafore e metonimie, citazioni e forme simboliche, di cui sono prova flagrante il pentittico “rinascimetale” Interno (1996) e il dicotomico Kit (Viaggio) (2015). Amplificando questa natura doppia che connota il rapporto tra linguaggio e realtà, la grande opera site-specific Locus Solus (2019), assurge ad enigmatico labirinto di significati, “macchina” di proliferazione del linguaggio che, sdoppiandosi in figure ed icone scandite da differenze e ripetizioni, crea e ricrea spazio: «il supporto materiale dell’installazione è lo spazio stesso» (Groys 2009). Teatro del linguaggio, dispositivo che scopre il ritorno di forme e fantasmi costanti, l’installazione proposta da Fedele nasconde nel mistero evanescente dell’ombra la preziosità del di-segno (lat. Signum, intaglio), affidando all’appetito dello sguardo l’illuminazione che dissolve l’enigma. «Di conseguenza e nella misura in cui il quadro entra in rapporto con il desiderio [diventa] schermo» (Lacan 2003), ovvero proiezione del nostro sguardo che trasforma la superficie in abisso dove il segno si cancella riaffiorando, strato dopo strato, in una graduale Amnesia (2000) o, al contrario, emerge sprofondando nel buio affascinante del luogo solitario.

 

Bibliografia
- Bonito Oliva A. (1997), M.D.A.B.O., Costa&Nolan, Genova, p. 48.
- Foucault M. (1978), Raymond Roussel (1963), trad. it., di E. Brizio, Cappelli, Bologna, pp. 21-22.
- Freud S. (1972), Opere 1905-1908. Il motto di spirito e altri scritti, Boringhieri, Torino, p. 30.
- Groys B. (2009), Politics of Installation, in E-flux journal reader, Sternberg Press, Berlin, p. 14.
- Dècina Lombardi P. (1975), Introduzione, in R. Roussel, Locus Solus, cit., p. IX.
- Lacan J. (2003), Che cosa è un quadro? (1964), in Il Seminario. Libro XI., I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, trad. it., Einaudi, Torino, p. 110.
- Zeri F. (1993), I francobolli italiani, Melangolo, Genova, p. 10.


Nelle mani dell'arte.

Pier Giuseppe Fedele

Con un gioco di sovrapposizioni e di ombre, le mie architetture entrano nello spazio di ricerca dell’arte, attraverso l’orizzonte d’artista di Ferdinando. Esse dimenticano Anánkē-Necessità per entrare in conflitto/dialettica con i linguaggi della forma dell’arte. Ma la forma non è mai pura forma, nemmeno nell’arte. La forma non è mai il fine-telos, ma sempre il risultato. Essa rimanda sempre a un principio, alla sua origine, a ciò che sta dietro, come accade per la figura del Veronese che impegna da anni la ricerca di Ferdinando.

Sono due le origini a confronto e anche due gli orizzonti: l’una, quella dell’arte, che mira a individuare , attraverso il linguaggio, il senso del mondo - che Nietzsche chiama giustamente Vita; l’altra, quella dell’architettura, che cerca di liberarsi dalle strettoie del linguaggio (il linguaggio è sempre storico) per s-velare l’essere della cosa.

Ma c’è una possibilità che arte e architettura condividono: quella di manifestare/rivelare il senso ultimo dell’opera – arte o architettura che sia – come nelle ombre producibili/proiettabili nel lavoro “Locus Solus” in mostra. La verità dell’opera che ne esce dal confronto tra arte e architettura, generato dalla prospettiva dell’artista, è rivelazione del senso cioè ricordo (Mnemosyne): ombra come anamnesi di quel senso cercato, con quel fare specifico, che è slittamento di significati ma – nelle tecniche utilizzate da Ferdinando – sempre una ontologia della forma.

Costitutivamente anche in questo arte e architettura si accomunano: nel ‘cercare’ ovvero nel tentativo di ricordare quanto si va cercando, che è premessa fondamentale del cercare stesso. L’opera-vita è, così, sempre una ri-presentazione e mai una rap-presentazione, come aveva indicato il grande Giorgio Colli. È per questo che la forma è sempre risultato ed è sempre definibile come un cercare l’Inizio, tragicamente mai raggiungibile se non nell’illusione del linguaggio, nella sua impossibilità di dirlo (Locus Solus appunto).

E’ con quel trovato - l’opera - che si informa la Vita, che le si dà ordine, si rende stabile l’informe divenire imponendogli una direzione e quindi una prospettiva: un senso. Così come l’allusione sottesa alla figura-autoritratto del Veronese di Convito in casa Levi (1573), nei lavori di Ferdinando, sembra volerci suggerire.

 

Bibliografia

- Cacciari M. (1990), Dell’Inizio, Milano.
- Colli G. (1969), Filosofia dell’espressione, Milano.
- Heidegger M. (1961), Nietzsche, trad. it. Milano.