O. M. Ungers e la riduzione disciplinata di Villa Glashütte

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Domenica, 13 Febbraio 2021

L’invenzione in architettura non può fondarsi sulla tabula rasa, ogni vera novitas è un ribadire e, in questo senso, la memoria è rivoluzione, rinnovamento. L’immaginazione, per poter spingere l’uomo verso il nuovo deve guardare indietro, e per poter agire – possedere cioè una intenzione (lat.: agere) - deve guardare all’origine delle cose, come in un moto di riflusso. Ciò che deve guardare, però, non è il passato ‘contingente’, ma interrogare le idee che lo hanno sostenuto, tirarsi cioè fuori dal tempo. Deve cioè togliere alla cosa l’«appartenenza a specie o generi» (che in architettura allignano nel linguaggio storicizzato) e mirare al senso. Ciò che sostiene il senso è sempre un sistema di regole connesse tra loro. Il sistema d’ordine sotteso alla composizione architettonica è il mezzo per dire la natura della cosa. Tale struttura della forma trova nella geometria l’alleato più efficace. In un processo di astrazione, potrebbe sostenersi che la geometria è il sistema delle ‘parole’ proprie del linguaggio architettonico. Ma la geometria da sola non può dire tutto, è solo mezzo. La ricerca del significato passa per la riflessione sulla natura dell’oggetto, che in architettura si chiama ‘tema’: ogni nuova architettura contribuisce – sotto questa luce – a definire e a chiarire meglio il tema assunto. Ci si può quindi tirare fuori da approcci succubi dei contenuti legati alla contingenza e puntare ad astrarre la forma dalla sua temporalità (cioè da ciò che la storicizza), per dedicarsi a una sorta di esegesi del tema. E’ accaduto per Villa Glashütte progettata a Eifel, in Germania, da Oswald Mathias Ungers (1926 – 2007) nel 1988. Con l’intenzione di raggiungere il significato del tema, il maestro tedesco attraversa l’idea di casa così come si è manifestata lungo la sua storia, con l’obiettivo di raggiungere la sua origine e, con un moto di riflusso, determinarne una sintesi contemporanea. L’interrogazione dell’archetipo ‘casa’, con Ungers, raggiunge il carattere di astrazione grazie al manifesto utilizzo di una rigorosa griglia geometrica quale ferreo sistema di controllo della forma/intero. Il sistema di controllo, messo in campo, di massa geometria e proporzione è ‘ciò che resta’ dell’esegesi di Ungers sul tema ‘casa’, dopo l’attraversamento delle forme storiche: sono il ‘ciò che è’, il ‘questo qui’ (il “tò tí ên eînaí“ greco). Il risultato è una forma chiara, elementare, che cerca di afferrare l’archetipo: una pianta quadrata - di diciassette metri di lato - con un tetto a due falde, governata da un ordine che misura le corrispondenze e i nessi tra gli elementi con grande rigore e capacità. La forma della casa ha raggiunto una tale chiarezza e semplicità, nella sua ideazione, che è possibile alludere agli episodi ‘illustri’ da cui è informata (su tutti, la Rotonda di Andrea Palladio e il Neuer Pavillon di Schinkel), senza grossi dispendi linguistici: è stato sufficiente simmetrizzare i prospetti e posizionare le scale di accesso sui quattro lati del quadrato per ‘portarsi dietro’ i significati contenuti nelle forme storiche. La ricerca di Ungers, la sua ‘Disziplinierte Reduction’ (riduzione disciplinata), proprio per la riuscita liberazione del tema ‘casa’ da tempo e storia, raggiunge qui una forma che coincide perfettamente con l’idea sottesa. Questo permette di poter trovare una sintesi delle forme storiche assunte a riferimento riducendole a idea, senza dover ricorrere – per poterle riconoscere - a sofisticate sovrastrutture conoscitive. E così scrive: «Volevo vedere fino a che punto l’architettura può essere astratta. Quindi c’è una ‘casa senza qualità’, senza ornamenti, senza dettagli, né in basso né in alto. […] Tutto è stato sottratto al nucleo assoluto dell’astrazione. Non si può fare di più».


Didascalie immagini:
- O. M. Ungers, Villa Glashütte, Eifel - Germania (1988).