Leon Battista Alberti realista: quale realismo?

La ricerca della giusta forma in architettura

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 27 Marzo 2021

«Smetti uomo, smetti di andar ricercando, oltre quanto è consentito all’uomo, simili misteri del Dio degli Dei. Sappi che a te e a tutte le altre anime racchiuse in un corpo, questo solo è concesso: non ignorare completamente quel che vi cade sotto gli occhi». Così scriveva l’Alberti in ‘Fatum et Fortuna’ delle sue Intercenales (1440), mettendo in evidenza il portato anti-metafisico della sua visione del mondo. Questo approccio, che potrebbe dirsi realista, richiama alla impossibilità di cercare ‘un dio’ fuori da ciò che l’architettura è, all’impossibilità di cercare cioè una ragione fuori dalla costruzione in quanto unico fondamento per la generazione delle forme dell’architettura. Il suo De Re Aedificatoria non perde mai il contatto con la realtà attraverso l’esposizione di regole e precetti finalizzati alla buona costruzione. Anche la sua concezione del disegno, inteso a prescindere dalla materia («omni materia exclusa»), non è idealismo ma controllo delle operazioni ‘secondo ragione’, prassi necessaria a imporre un ordine alla costruzione attraverso un chiaro e preciso pensiero. Ma oltre alle regole della buona costruzione c’è dell’altro. Il suo ritorno agli antichi, la loro ‘rinascita’, oltre a essere fedele al precetto secondo cui è utile ricorrere a quelle soluzioni formali che in passato si siano rivelate valide (demolendo così la frequente ansia di novitas che si genera nel fare architettura), non può non mostrare che realismo non significa pedissequa adesione alla sola categoria dell’utilitas. Ogni operazione che presupponga la scelta di una forma rispetto ad altre possibili, come è nel caso della costruzione, pone quelle scelte sul piano della scelta estetico-poetica, dove per estetico-poetica ci si vuole riferire qui non alle scelte arbitrarie figlie di chissà quale volizione ‘soggettivo’ (è facile individuare quanti danni ha prodotto e produce questo grave errore interpretativo nella formazione del gusto medio) ma quelle fondate sulla necessità di individuare la ‘giusta forma’: quest’ultima si determina quando con l’oggetto costruito si fa reale conoscenza della ‘cosa’, ovvero quando sia possibile rintracciare una coerenza con la dimensione logico-ontologica dell’oggetto, potendo rinvenire e conoscere il suo ‘cosa è’. Il realismo va inteso dunque come capovolgimento del dogma posto da Kant nella sua riflessione sul rapporto oggetto-soggetto, secondo cui la ‘cosa in sé’ - conoscibile attraverso l’intelletto - sarebbe la causa di ciò che appare (è dogma perché non possiamo definire una cosa che non possiamo conoscere descrivendola con i mezzi del mondo della rappresentazione): se è vero, cioè, che non possiamo conoscere la cosa in sé (il noumeno), allora non possiamo neanche determinarne la sua forma. Alla luce di ciò e grazie al fatto che «l’essenza è insufficienza di sé stesso e desiderio di qualcosa di assente» e che «tra il mondo fenomenico e quello noumenico esiste una continuità» (Colli, 2010), l’espressione fenomenica (l’opera), in quanto oggetto del conoscere, diviene l’unica realtà a cui riferirsi. Il realismo – solo cosi intendibile - è per questo l’unica vera e fondata possibilità di rintracciare e definire l’intima essenza di una cosa attraverso la sua forma, e solo su questa base è possibile cercare le leggi che governano le forme. Questo approccio è un vero e proprio ribaltamento della metafisica nella gnoseologia (Cavalli, 2020), già rintracciabile nella grandezza della riflessione dell’Alberti. La ricerca della giusta forma diviene così conoscenza e la conoscenza, in quanto memoria, permette di risalire la serie espressiva (ovvero quelle forme architettoniche che ‘sono state interrogate’, nel tempo, dall’essenza dell’oggetto da conoscere) sino alla sua indicibile ‘im-mediatezza’: «l’espressione non è che la ripercussione di qualcosa che è fuori dal tempo». Perché «la ragione seguita la verità, quale mai sarà se non unita, perpetua e immortale» (Alberti, De Iciarchia, 1470).


Didascalie immagini:

- L. B. Alberti – Tempietto del Santo Sepolcro, Cappella Rucellai, Firenze 1467.