Gli interni italiani: il salone di casa Albini e la metafisica degli oggetti

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Domenica, 15 Novembre 2020

Nonostante gli ambienti domestici esposti nella V e nella VI Triennale di Milano - rispettivamente del 1933 e del 1936 – mostrassero la capacità di sintesi tra architettura ed elementi di arredo che il Razionalismo andava cercando lungo il suo percorso formale, gli interni italiani anche nel culmine della ricerca del moderno non hanno mai accettato la dittatura estetica dell’unità stilistica. Hanno cioè sempre conservato la necessità del racconto della vita come carattere sostanziale dello spazio abitativo. L’assolutismo della funzione, così come concepita dalle idee più estremiste del Razionalismo, ha sempre fatto i conti con la necessità di legare il nuovo al suo passato: la funzione porta, in sé, significati che la superano. Come nel caso dei ‘Paterni mobili’ di Alberto Savinio, scritto nel 1943, in cui la descrizione dei mobili manifesta simulacri materici della figura paterna - processo che Savinio percorrerà fino alla metamorfosi uomo-mobile di Poltrobabbo e Poltromammo del 1945 - il vero significato degli oggetti di arredo non è mai legato alla sola utilità della propria forma funzionale, ma è sempre portatore di immagini e figure ‘inconsce’ stratificatesi durante il loro uso; tracce che si rivelano essere tutt’uno con quegli arredi. L’accento surrealista di Savinio non è solo una suggestione letteraria ma è traduzione della caratteristica più radicata della cultura italiana degli interni, che è sempre una stratificazione di cose significanti, mai di sole funzioni. Il salone della casa di Franco Albini, in via Dei Togni a Milano, esplicita con grande raffinatezza questo principio: il suo ‘Veliero’ (1938) – una tensostruttura che porta i libri come sospesi nell’aria, il suo Mobile-radio in cristallo Securit (1938) fanno bella mostra di sé tra opere d’arte antica, sedute contemporanee, arredi intarsiati e tappeti persiani. Mobili antichi e arredi contemporanei possono stare insieme perché la loro unità non è di forma ma di significato. Nessuno scandalo (scandalon in greco significa ‘inciampo’) genera quello spazio contaminato dalla compresenza di oggetti eterogenei nella evoluzione delle idee dell’architetto razionalista, perché quello spazio è il luogo delle tracce e delle figure inconsce di una storia i cui oggetti, a essa appartenenti, vengono tirati fuori dal tempo cronologico lineare per essere posti sul piano dei loro significati simbolici ed essenziali. La funzione così concepita mostra i suoi connotati profondi, si trascina dietro le sue storie senza farsi contaminare dall’estremismo di un ‘io’ architettonico assolutista. La funzione diviene figlia di stratificazioni culturali ed è forma solo se veicola significati. Gli scheletri in metallo cromato curvato degli arredi del razionalismo tedesco, prodotti in quegli anni dall’estetica della macchina, incontrano in Italia una forza più forte che li risucchia in un discorso mai chiuso. Forza che cerca sempre di ricomporre nuovi equilibri a partire dal ‘già stato’, senza mai dimenticarlo. La forza delle memorie debordanti contaminano e dotano di senso ogni forma, non lasciandole mai sola con sé stessa. Così, grazie al calibrato equilibrio (questo sì di raffinatissimo stampo razionalista) che governa l’unità spaziale, ottenuto con oggetti d’arredo liberi dalla legge dell’unità stilistica, il salone di casa Albini può prendere vita: «entrate di notte, di soppiatto, mentre la casa dorme, in una camera deserta di uomo; affilate l’orecchio e udrete i mobili, con voce di legno e di stoffa, scambiarsi le loro memorie e i propri segreti» (Savinio).


Didascalie immagini:
- Il salone di casa Albini a Milano e Albini a Paestum (1938)