L’arcipelago delle zolle di Salvatore Bisogni.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 16 Maggio 2020

Luogo è, metaforicamente, la radura che all’improvviso appare nella foresta, è la luce che invita ad abitare mentre si cerca di superare l’inospitale buio da cui sempre fuggiamo. Non è possibile vivere senza luogo, abitare dove non si danno luoghi: c’è abitare solo dove c’è luogo. La polis greca nasce definendo limite allo spazio aperto, imponendo misura. Poi la Civitas cambia natura alla città, si apre alla moltiplicazione delle mille relazioni. Essa è quindi crescita per addizione e ‘contaminatio’, dove la finitezza della polis, aprendosi, si ipertrofizza: a una forma a-priori subentra una crescita che, da allora fino alla metropoli contemporanea, raggiunge l’esplosione dell’occasionale e amorfo sviluppo delle nostre città. La città contemporanea deriva la sua forma dalla logica mercantile-speculativa che la governa: questa in-differenza alla forma genera l’indistinto dei non-luoghi che tutti conosciamo. Sono i non-luoghi che generano il nostro disorientamento, quando abitiamo le città. La grande città, nel suo sviluppo extra-moenia è essenzialmente contraddizione: necessità di conquistare l’aperto insieme alla nostra necessità di viverci il protettivo limite. Il carattere residuale dello spazio urbano contemporaneo è anche l’esito del conclamato fallimento operativo dello strumento che, nel nostro tempo, avrebbe dovuto disegnare il destino delle città – l’urbanistica – ridottosi a mero strumento di analisi, avendo omesso la dimensione propositivo-costruttiva che ogni strumento di pianificazione presuppone. Viviamo nel territorio della post-metropoli: la città è ovunque, e ogni idea di centro si è relativizzata. L’esigenza di centro è divenuta nomade (Cacciari, 2002), al punto che il centro ‘segue’ gli interessi economicofinanziari, segue le esigenze degli scambi e non viceversa com’era. Ma l’essenza della città è quella di assoggettare lo spazio natura a ‘misura’: alle sue origini, la Polis nasce figlia di Dike-Giustizia, ne è sua immagine, governata dal principio ordinativo e conformativo del Nòmos, la Legge come principio d’ordine che salva dal caos e permette di vivere nel ‘giusto’. Più la contingenza ci ‘vuole’ s-radicati, e più diviene necessario individuare luoghi a cui riferirci, nella nostra oramai inesorabile mobilità. Come superare, allora la contraddizione della ‘instabile stanzialità’ dell’uomo contemporaneo? Ciò che non è programmato non è governabile, ciò che è senza legge è informe. Eppure l’architettura deve accogliere le istanze del nuovo mondo che va delineandosi, se non vuole rifugiarsi in passatiste ideologie di ricupero della forma chiusa della città, o divenire apologia – per la verità sempre più inverantesi! – di un futuro ‘liquido’ di ogni agire umano (incarnatosi nel cosiddetto Junkspace). Le soluzioni a tale impasse hanno, perciò, imboccato due strade: una è quella della ricucitura chirurgica del tessuto frammentato dalla crescita informe, nel tentativo di trarre una possibile forma dai brandelli informi che vanno consumando il territorio; l’altra è quella che accetta, prona, la mancanza di luoghi con cui rappresentare il vivere civile, costruendo ‘discorsi’ figli del dominio di una tecnica a-topica, sempre più interessata esclusivamente al suo potenziamento (Severino); una artificioso fatalismo rispetto a quanto accade, che può manifestare solo impotenza. Ma c’è una terza via. È l’idea dell’«arcipelago delle zolle», una idea di città che Salvatore Bisogni (1932-2018) elabora nel suo ‘Piano per i 5 comuni a nord-ovest di Napoli’ (1995-2004). Negli ultimi decenni Napoli ha subìto, come tutte le grandi città, uno sviluppo urbano che ha cancellato la natura (agricola) dei territori extra-moenia, ad opera di una crescita illimitata dell’edificato. Il territorio geograficamente a Nord-Ovest della città, situato oltre il sistema collinare che cinge la città storica – ovvero i comuni di Calvizzano, Giugliano, Marano, Mugnano e Villaricca – hanno assorbito le logiche casuali della dispersione urbana a spese del territorio agricolo, sfregiato dalle infrastrutture veloci e dissoltosi in non-luoghi nella cosiddetta ‘città diffusa’, conservando il ruolo egemonizzante della città storica attraverso l’asse centro/periferia. Di fronte a tale status-quo, nel “Piano per i 5 Comuni a nord-ovest di Napoli” (1995-2004) Salvatore Bisogni immagina, sulle tracce della maglia ortogonale della Centuriazione romana, la forma urbis della ‘nuova’ città aperta al territorio, attraverso l’ideazione di un «arcipelago di zolle». La zolla è una grande unità architettonica, una «nozione intermedia di architettura» in cui la sua calcolata finitezza e il suo ordine interno funzionano come portatori di forma nel continuum aperto e illimitato della metropoli diffusa. Nell’idea della zolla, ciò che torna a dominare è la capacità dell’architettura di costruire luoghi (sua vera natura!) nello spazio aperto. Essa è una isola d’ordine governata da una interna coesione logica; è l’oggettivazione di forme puntuali in uno spazio finito, come accadde per l’Acropoli di Atene, per il Campo dei Miracoli di Pisa, per il Campidoglio di Chandigarh di Le Corbusier, per il Kulturforum a Berlino di Scharoun, ecc. «Il continuum illimitato della metropoli può essere spezzato e riarticolato a partire da precisi temi di architettura»: così scriveva Bisogni; conditio sine qua non, cioè, è che la zolla - la cui forma spesso coincide con un crepidoma/basamento - ospiti quello che il Maestro napoletano definì architetture ‘certe’, grandi manufatti in cui la concisione linguistica fosse testimonianza di necessario e generale. Sulla zolla/basamento vengono collocate, con calcolato accostamento, alcuni edifici pubblici e collettivi – Teatro, Museo, Municipio, Biblioteca, Chiesa, Uffici, Accademia dello Spettacolo, Centro sportivo, ecc - in cui l’elevato livello di sintesi fosse in grado di generare una tensione di tipo civile nello spazio aperto della città-territorio dell’entroterra napoletano. A tenere insieme l’arcipelago delle zolle, nel progetto di Bisogni, è il coronamento dell’area della nuova metropoli attraverso un intelligente recupero del canale navigabile proposto da Luigi Cosenza nel 1946; una infrastrutturache segue l’andamento dei Regi Lagni del ‘600 (canali costruiti dai Borboni per raccogliere le acque piovane e lasciare salubre il terreno della Campania Felix), che permette di trasportare le merci dal porto di Napoli all’entroterra, alleggerendo il trasporto su gomma e che – lungo il suo sinuoso percorso - incontra alcune zolle deputate ai servizi della collettività (zolle direzionali). Il progetto di Bisogni è fondato su un profondo realismo eppure non risulta difficile andare oltre. Non sembri azzardata, cioè, una piccola digressione lirica, ovvero la possibilità (che è speranza) di pensare alle ‘Tre bagnanti’ (1920) del cosiddetto periodo ‘neoclassico’ di Picasso e immaginare, per analogia, la zolla come quello spazio originario alluso nel disegno di Picasso, in cui i corpi monumentali (le architetture) danzino nella ritrovata mathesis di un Olimpo perduto, ma ancora capace di dare forma a un nuovo inizio.


Didascalie immagini:

- Lo spazio discontinuo e indistinto della città contemporanea
- Il piano per i 5 comuni a nord-ovest di Napoli, schizzo di Salvatore Bisogni
-‘Zolla dello spirito’ di S. Bisogni, disegno e modello, 1995-2004
- Pablo Picasso, "Le tre bagnanti", Carnet di Parigi, 1920