Una loggia civica per la Pignasecca a Napoli e le costanti dell’architettura.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Martedì, 11 Febbraio 2020

Antonio Gramsci, nei Quaderni dal Carcere (Q. n° 3, 1930), chiarì che in architettura il ‘valore di opera d’arte’ è da rintracciarsi ‘nel progetto e nei piani di un architetto’, al di là della edificazione stessa dell’opera. La cosiddetta architettura di carta, ovvero i progetti non realizzati ma di grande valore al punto da essere paradigmatici per l’avanzamento disciplinare, ha lo stesso peso dell’architettura realizzata. Il progetto di Renato Capozzi (1971) e Federica Visconti (1971) - con Lorenzo e Mario Criscitiello - per una loggia civica per la Pignasecca a Napoli è un progetto non realizzato, eppure è un idea di architettura significativa per due ragioni: 1) affronta la questione dell’inserimento dell’architettura contemporanea nei centri storici in maniera chiara e perentoria, liberandosi dall’ombra dell’Idealismo Crociano incarnato nella teoria del restauro di Cesare Brandi che ha interessato tutta la cultura italiana del restauro dei centri antichi, che sul concetto di ‘testimonianza documentale’ di un tessuto urbano storico si è rivelata essere una vera e propria cultura dell’impedimento (il grande progetto per l’ospedale di Le Corbusier a Venezia – 1964 - non fu costruito su questi presupposti); 2) rende manifesto un modus operandi che va dritto all’essenza del fare architettura, senza ammiccamento alcuno ai ‘bordelli storicistici’ (Cacciari): con la chimera dell’intoccabile “c’era una volta” non sarebbe nemmeno nato il Rinascimento Italiano... Quanto alla prima ragione, è l’architettura che definisce lo spazio urbano e nessuna altra sovrastruttura imposta, perché è attraverso essa che si chiarisce il senso e il carattere di uno spazio civile. E’ la loggia civica in quell’area urbana che dà carattere all’informe spontaneità dell’area mercatale della piazza della Pignasecca, perché è l’architettura che costruisce luoghi ed è con la nuova architettura che si dà chiarezza a quella piazza: basta questo per chiudere la insensata (e tanto dibattuta) querelle dell’inserimento del nuovo nei centri antichi. Esplicitiamo la seconda ragione: il progetto aspira alla precisione della soluzione in relazione al tema architettonico assunto. Esso si fonda su una teoria di bucature che generano una calibrata maglia di elementi portanti (pilastri e tiranti) che, dall’alto verso l’invaso sottostante (la piazza coperta) si dirada per consentire la corretta illuminazione naturale della piazza. Ma una soluzione formale giusta non è mai solo il riflesso dell’istanza funzionale. L’edificio è una mise en forme che utilizza le eterne costanti dell’architettura: ritmo, misura e proporzione. Questi strumenti del comporre sono trascendenza e immanenza dell’architettura tenuti in uno; con essi si tengono insieme significante e significato, im-mediatezza dell’intuizione spaziale e linguaggio dell’architettura, idea e materia, perché ‘l’immagine di spazio percepita dagli occhi si identifica con l’immagine percepita dalla mente. Più precisamente: gli occhi percepiscono come concepisce la mente.’ (Argan). Ritmo, misura e proporzione sono costruzione esatta dell’idea di architettura di tutti i tempi, essi conferiscono all’opera l’interesse generale a cui lo spazio urbano deve tendere. E’ per questi motivi che il progetto di Capozzi-Visconti non è il progetto di un manufatto, ma la rappresentazione di una idea di città. Andrebbe costruito.

 

 

Didascalie immagini:
Aula civica alla Pignasecca, schizzo prospettico dell’arch. Renato Capozzi e render.