Villa Cernia di Luigi Cosenza ad Anacapri e la memoria dell’arché.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Giovedì, 20 Febbraio 2020

Sul tema della casa esiste una tipologia che ha 5000 anni: è la casa a patio; essa ha attraversato la Storia e ogni luogo, cambiando sempre aspetto senza mai scomparire. Questo accade quando l’architettura mira all’arché, a ciò che sempre è e che non ha tempo, quando il linguaggio (la Tecnica) non mistifica il senso delle cose ma ne è espressione. L’esempio più conosciuto della casa a patio – rispetto alle testimonianze antichissime in Cina e India - è la Domus pompeiana. Il patio (peristilio) è lo spazio in cui l’uomo si protegge, intorno al quale si organizzano gli spazi necessari della casa da cui prendono luce: esso è lo spazio della rappresentazione della idea di casa. Ci sono tante esperienze nell’architettura che, lungo il corso del tempo, si sono misurate con questo tema architettonico, al cui apice – nella modernità – vi sono le conosciutissime case a corte di Mies van der Rohe (1931-38), ma altrettanti grandissime testimonianze come quelle di L. Hilberseimer (Germania 1929), J. L. Sert (Usa 1958), A. Jacobsen (Germania 1957), Bakema e Van der Broek (Olanda 1963), A. Aalto (Finlandia 1963), E. Souto Moura (Portogallo 1993), ecc. Villa Cernia è una casa progettata nel 1967 e realizzata ad Anacapri dall’Ing. Luigi Cosenza (1905-84), progettista della più conosciuta Fabbrica Olivetti a Pozzuoli. Egli fu esponente di primo piano di quel Razionalismo non incline a riproporre passivamente stilemi provenienti dalla ricerca tedesca, grande interprete di quell’esperienza architettonica che in Italia – nei primi decenni del novecento – ebbe la forza di misurarsi con l’invadenza della Storia, alla ricerca di una identità mediterranea dell’architettura, pur rimanendo sempre nel solco del Moderno. La vera conoscenza non è conoscenza della Storia tradotta nel linguaggio del divenire, ma sempre Memoria-Mnemosyne: la Memoria ci indica ciò che è sempre presente senza essere nel tempo. A fronte delle varie ipotesi di studio, l’architetto sceglie una soluzione quasi didascalica/descrittiva della tipologia. Qui è la misura della grandezza di questa architettura : il patio qui è rappresentazione del tema architettonico e diviene la casa stessa: riduzione estrema, sintesi sovra-temporale, modernità senza alcuna debolezza (o ammiccamento) nei confronti del cosiddetto contemporaneo. Lo spazio che ottiene è uno spazio senza tempo, denso di significati, che allude alla natura dell’uomo e del suo abitare: qui il passato diviene oggetto di esperienza im-mediata. Luigi Cosenza riesce a definire il patio come uno spazio che sta ‘al di sopra’, che si solleva dal continuum temporale. Ed è questa la natura della sua intensità: indica che ‘ciò che vediamo’ coi sensi – immersi come siamo nell’apparenza e nel divenire – è un frainteso che ci distrae dal contenuto, dall’essenza delle cose. Ogni linguaggio ha come destino l’essere idioma, e l’idioma è linguaggio proprio della Krisis (Cacciari), quindi profondamente ‘nel tempo’. In un frammento di una poesia di Giorgio Colli è concentrato il vero significato della Bellezza di cui si parla: ‹‹Sempre alle nostre spalle è la bellezza/ bisogna volgersi per vederla/ ogni volta più fulgida/ mentre ci allontaniamo senza saperlo.›› (1957). In quell’ ‹‹ogni volta›› c’è la dimensione sub specie etaernitatis della bellezza. Mnemosyne (e non la Storia) si rende incatturabile perché sfugge a ogni possibile nome (di una cosa c’è sempre un altro possibile dire) ma è un abisso che, quando ci si mette in suo ascolto, produce una straordinaria potenza.