Il Danteum di Terragni, la Divina Commedia in pietra

Architettura e letteratura si incontrano

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 03 Aprile 2021

Con la Divina Commedia Dante forgia il volgare costruendolo a partire dal latino, perché non è data alcuna nuova lingua che non si strutturi sulle fondamenta di ciò che è comune. Non può che essere struttura il latino e, per questo, non può che essere Virgilio il compagno di viaggio della presa di coscienza del Reale che si manifesta nella Commedia. Un Reale che con il linguaggio produce metafore e allegorie, vere e proprie figure del significato, forma di ciò che è dietro le esperienze mondane. Ciò che è ‘dietro’ non è solo strumento, ma anche senso. Il senso architettonico della struttura della Commedia, con le matematiche relazioni tra le parti e il tutto, ha dirette assonanze con la ricerca dell’Armonia che sostiene la composizione architettonica tout-court. La divina proporzione, incarnata nel rapporto aureo, è la dimensione più trascendentale della ‘realissima’ architettura. E come accade con Virgilio per Dante, così il principio di autorità del numero aureo ha sempre accompagnato il viaggio della definizione della forma architettonica, da Fidia sino a Le Corbusier e oltre. Così, da secoli la forza immaginifica della Commedia dantesca è tale al punto da generare un tentativo di trasfigurazione simbolica anche in architettura. È il caso del Danteum, progettato da Giuseppe Terragni (1904-1943) nel 1938. Uno dei maggiori razionalisti italiani, per l’occasione dell’Expo romana del 1942, progetta un edificio-monumento ispirato alla Commedia dantesca, purtroppo non costruito a causa dello scoppio della guerra. La realizzazione di una vera e propria Commedia di pietra viene promosso dall’allora presidente della Società Dantesca Italiana: al di là delle mire politiche del promotore nei confronti del Governo Mussolini, il Danteum è un edificio – da destinare a biblioteca e museo dedicati a Dante Alighieri – che, grazie all’intersezione delle metafore dantesche con le esigenze del linguaggio architettonico, riesce a costruire uno spazio evocativo capace di «creare un fatto plastico di valore assoluto vincolato spiritualmente ai criteri della composizione dantesca» (Terragni, 1938). La pianta dell’edificio è composta quindi da un rettangolo aureo (il cui rapporto tra il lato lungo e quello corto è uguale al numero Φ =1,618) affiancato a due quadrati. Dalla scomposizione di queste figure geometriche deriva la pianta dell’edificio-monumento: l’accesso avviene attraverso uno stretto passaggio-corridoio (corrispondente al dantesco “non so bene come v’entrai”) che immette in una corte vuota, che l’architetto definisce «sprecata» (simbolicamente i primi 35 anni del poeta); da essa, ci s’imbatte in una ‘selva’ di colonne in pietra e da lì, attraverso un corridoio con delle statue marmoree di dannati in agonia si ha accesso alla sala dell’Inferno. Questa, debolmente illuminata da fenditure dal soffitto, così da dare la sensazione greve dello spazio che rappresenta, è un rettangolo aureo suddiviso in una progressione di quadrati sempre più piccoli (in rapporto aureo) con al centro di ognuno una colonna con spessori proporzionali alla porzione di tetto che ognuna porta autonomamente. Sebbene sembrino in posizione disordinata, unendo le sette colonne si ottiene la forma di una spirale, anch’essa simbolica. Tali meccanismi geometrici sono costruiti per ogni sala corrispondenti alle cantiche della Commedia. La sala del Purgatorio è sempre un rettangolo aureo, ma questa volta lo spazio è sgombro da ostacoli (non vi sono le colonne della sala dell’Inferno) e alla grevità dei muri perimetrali fanno da contrappunto alcune geometriche aperture nel soffitto, che lasciano vedere il cielo e passare la luce. La sala del Paradiso, il cui accesso è molto stretto, subisce il massimo di apertura, attraverso l’utilizzo di trentatré colonne in vetro che sorreggono un telaio trasparente sempre in vetro, aperto verso il cielo: la luce che inonda lo spazio – che attraversa il soffitto da una grande apertura quadrata - e l’immaterialità cui allude l’uso del vetro avrebbero dovuto dare una sensazione di leggerezza e di liberazione dalle cose terrene. Nell’edificio era prevista anche una sala dedicata al ‘nuovo Impero Romano’, utile per le esigenze della retorica di quel tempo. La ‘macchina’ del Danteum, singolare parafrasi di pietra dell’immortale capolavoro dantesco, con le sue metafore di luce (dall’ombra alla luce piena), con la progressione dai materiali grevi a quelli trasparenti, con l’uso della geometria aurea (la sapiente scomposizione delle figure che costruiscono gli spazi tenuti insieme da un meccanismo perfetto) mira a mostrare il senso della nostra esistenza, in una singolare e allusiva sovrapposizione del linguaggio poetico con quello architettonico inerenti a regole e modi completamente diversi tra loro.


Didascalie immagini:

- G. Terragni – Danteum: la sala dell’Inferno, del Paradiso e del Purgatorio, 1938