Architettura ed espressione: ‘cosa’ e ri-presentazione della ‘cosa’.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 4 Luglio 2020

«Nessun nome ha un briciolo di stabilità, poiché nulla impedisce che quelle cose che ora son rotonde si chiamino rette, e che le cose rette si chiamino rotonde»: con queste parole Platone, nella Settima Lettera, indica il grande problema dello scollamento tra ciò che si dice (i nomi) e la cosa a cui corrisponde quel dire (nomi ‘che i mortali hanno posto convinti che fossero veri’, Parmenide). In architettura il ‘nome’ è la forma: può un nome non solo dire la cosa ma essere la cosa stessa? Può mai il pensiero della cosa corrispondere alla cosa fino a essere essa stessa? Eppure solo attraverso il nome, la forma, la cosa appare, sebbene sia evidente che non può del tutto coincidere col pensiero di ciò che si ‘nomina’. Ciò che in architettura viene in aiuto è la cosa stessa, la riflessione sulla cosa, il pensiero ‘della’ cosa, la sua natura, la sua essenza ontologica. Tutta la trattatistica architettonica dell’antichità gira intorno alla determinazione delle forme appropriate della costruzione, ovvero alla relazione tra il sistema costruttivo e sua rappresentazione. Ma, in ragione di ciò che è possibile nominare, la questione andrebbe posta pensando alla rappresentazione come ri-presentazione (dell’arché). La repraesentatio è termine più adeguato di rappresentazione perché con esso si indica non solo ciò che appare ‘al posto di’ (si ha rappresentazione quando la cosa non c’è), ma perché il fare assume il senso di «una rievocazione, un far riapparire di fronte» (Montevecchi, 2002). Anche per l’architettura quindi si tratta di far segno dell’idea che la sottende, ma più che rappresentare ‘al posto di’, si tratta di pensare alla «espressione» della cosa: quando la costruzione – in quanto espressione - fa segno dell’origine-arché diviene ‘espressione conoscitiva’ di ciò che è dietro. Uno dei princìpi permanenti in tutti i trattati di architettura (e di tutte le definizioni di architettura) è quello delle forme appropriate alla costruzione ‘senza che si possa aggiungere o togliere nulla’. «Chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta. Questo è ciò che io chiamo architettura»: così sentenziava Mies van der Rohe il secolo scorso, incarnando la più avanzata sintesi, ancora oggi, di tutta la tradizione teorica dell’architettura, a partire da Vitruvio (29-23 a.C.). Su questo tema, il monumento coregico di Thrasyllos (320 a.C.), una piccola architettura situata lungo il percorso dei santuari (Peripatos) ai piedi dell’Acropoli di Atene, sembra essere un esempio assai significativo. Si tratta del fronte di una piccola grotta (in epoca bizantina la grotta, scavata in profondità, divenne un più grande santuario ipogeo dedicato al culto di Maria), risolto con tre pilastri che sostenevano un architrave sul quale erano poggiati i tripodi per le offerte agli dei. I tre pilastri e l’architrave non aderiscono al fronte della grotta, ma vi si distaccano, si tengono separati da esso: è con questo distacco che viene «espresso» il senso della cosa che, attraverso quell’atto costruttivo, conduce al suo significato. Il sistema costruttivo, attraverso la definizione dell’identità degli elementi che compongono l’insieme, da forma tecnica (la ‘kernform’ di Karl Bötticher, 1852) diviene architettura. Il principio del decoro (da non confondersi con la decorazione) permette questa trasformazione delle forme tecniche in forme architettoniche (Monestiroli, 2002) ed è con esso che si manifesta il senso della cosa o, meglio, è attraverso il nome (la forma) che se ne esprime il senso. Sulla strada dell’ «espressione» (e non della rappresentazione) si annulla il rapporto soggetto-oggetto perché ci si allontana dal dualismo mondo vero/mondo apparente (Schopenhauer), e si procede nella direzione della cosa in sé. ‘Rose is a rose is a rose is a rose’ aveva scritto Gertrude Stein nel 1913, e il predominio del soggettivo sull’oggetto architettonico, che oggi ha ridotto l’architettura a mera immagine, ha dimenticato che in quel ribadire, in quella moltiplicata tautologia, risiedono e si moltiplicano i mille significati possibili che non riescono a dirsi, ma che danno senso al tutto.


Didascalie immagini:
- Il Monumento coregico di Thrasyllos, Atene, 320 a. C.