Il cimitero delle 366 fosse di Ferdinando Fuga a Napoli.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 11 Luglio 2020

Il cammino dell’uomo è «traccia di un illuminismo perenne» (Franzini, 2009), un «cercare la patria nascosta, un camminare di solitarie promesse, carico […] della coscienza della luce» (Bloch, 1976). Quella coscienza della luce è il rischiarare la natura delle cose attraverso i nessi che la costituiscono, capace di «rivendicare nel visibile il potere e il senso di ciò che non può essere visto». Metafisica dell’architettura è la mathesis, ordine visibile delle cose che permette contemporaneamente la conoscenza e la descrizione del senso dell’opera attraverso le sue leggi intrinseche. La ricerca dei nessi e delle connessioni che generano la forma non è un libero gioco governato dall’arbitrio, ma è ricerca dell’ordine e dei princìpi in grado di mostrare i significati della cosa. La chiarezza geometrica è espressione di quell’ordine, di quella combinazione di nessi, che si esprime attraverso corrispondenze, permettendo la intellegibilità sia della forma architettonica che del significato che essa ha (o deve avere) per la collettività. Così è per il Cimitero delle 366 fosse progettato a Napoli nel 1762 da Ferdinando Fuga: «la profanazione [dei morti] non è solo atto materiale di violenza ma anche soltanto mancanza di cura, disprezzo della nostra umanità a cui viene negata la presenza nel tempo» (Monestiroli, 2005). Il cimitero del Fuga è una macchina illuminista che spinge alla riflessione sulla morte vista alla luce dei valori civili che una architettura deve rappresentare. Fu realizzato su un terrazzamento naturale della collina di Poggioreale, nella zona orientale allora inurbanizzata e paludosa della città partenopea, per dare degna sepoltura ai morti degli indigenti, dieci anni dopo la realizzazione dell’Albergo dei Poveri, poco distante, sempre progettato da Ferdinando Fuga. Una corte a pianta quadrata di ottanta metri di lato (la stessa misura delle corti laterali dell’Albergo dei Poveri), a cui si accede attraversando un corpo di fabbrica lineare – che fa da fronte principale del cimitero – e che contiene i servizi utili per le sepolture (atrio, cappella e sala mortuaria). A proposito del carattere da dare ai monumenti funerari, parafrasando quanto scrisse Boullé nel suo Essai sur l’art, il Cimitero delle 366 fosse fa «…presumere che la terra rubi una parte dell’opera». Esso è infatti una architettura cimiteriale a fossa comune, in cui il numero delle fosse – formanti diciannove gallerie sotterranee profonde circa sette metri - funziona come un calendario perpetuo (considerando anche gli anni bisestili) e allude al trascorrere ciclico del tempo. Un perfetto meccanismo geometrico e funzionale, una perfetta macchina simbolica che mostra il grande senso civile che sostiene il progetto di Fuga. Il lastricato della corte è la terra che si calpesta in vita, ma dentro quel recinto è il piano-limite che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. Le pietre tombali, disposte sul lastricato di pietra lavica della corte a cielo aperto, venivano aperte seguendo la sequenza numerica indicata su di esse corrispondente alla data del giorno del decesso; all’interno – attraverso un argano – si calava una bara in metallo con il fondo apribile per calare i resti dei mortali. Le pietre tombali non riportano alcuna iscrizione ma solo un numero; al centro della corte è posizionato un simbolico lampione in ghisa a tre fiamme. Con il Cimitero delle 366 fosse si realizza un luogo in cui non appare la messa in scena della morte secondo le necessità dei vivi ‘che restano’ ma un luogo in cui appare il senso universale della morte come vissuto nella nostra esperienza terrena, nuda e cruda, senza alcuna vanitas o esigenza rappresentativa. Qui è la Ragione che con la sua luce ‘vede bene’, riducendo all’essenza il fatto, è il suo potere che denuda la terrifica verità della morte. Di più: la cartesiana schiettezza del meccanismo che informa il cimitero del Fuga è quella esigenza di Ragione che, nelle ‘solitarie promesse’ di conoscenza, fece grande l’illuminismo napoletano.


Didascalie immagini:
- Ferdinando Fuga, il cimitero delle 366 fosse, 1762