Cosenza: Il Planetario di Monestiroli, o la ragion d’essere degli edifici.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 9 Febbraio 2020

“Un edificio si può costruire e basta, oppure si può costruire in forme che sono rappresentative della sua ragion d’essere” (A. Monestiroli, 2019). Con questa sintetica ma profonda affermazione, contenuta in un piccolo libricino dal titolo: “Lo stupore delle cose elementari” (2007), l’architetto Antonio Monestiroli (1940-2019) – progettista del Planetario di Cosenza (2019) – indica il senso della ricerca sulla forma in architettura. L’architettura del Planetario quindi, in quanto rappresentazione, cerca la sua ragion d’essere nella domanda di fondo “cosa è un planetario?”. In quel ‘cosa è’ risuonano più di duemila anni di cultura occidentale: la filosofia, con i presocratici, inaugura la storia dell’Occidente con l’individuazione del problema dell’Essere (la ricerca del ciò-che-è e dell’in-sé), e fornisce – indirettamente – una linea di ricerca a un certo tipo di Architettura che riflette sull’essenza dell’oggetto architettonico. In questo solco si può inserire anche il Planetario di Monestiroli. Il cuore dell’edificio è uno spazio semisferico che permette di vedere cose che a occhio nudo non si vedrebbero (una macchina da sorprese): al suo interno – tramite sofisticate proiezioni – si può osservare il nostro cielo; al suo esterno – ma sempre dentro l’edificio - la semisfera diviene rappresentazione del sole al centro del sistema Solare. Monestiroli predispone una struttura in acciaio e vetro, una grande aula che delimita l’invaso architettonico, poggiata su un basamento che la stacca dal suolo naturale. Questo spazio viene costruito con un linguaggio schietto, ottenendo una sorta di macchina ingegneristica. La grande aula che contiene il planetario, così conformata, non è solo struttura ma sempre architettura perché non è solo sistema costruttivo ma rappresentazione della costruzione di quello spazio. E’ rappresentazione perché l’architetto, a differenza dell’ingegnere, oltre alle questioni squisitamente strutturali, si pone il problema della espressività e del senso di quella struttura, e quindi dell’edifico. Oltre a dover porre il ‘cosa è’, va posto anche il ‘come’ debba essere ciò che si va progettando. Monestiroli era un energico e duraturo sostenitore della Realtà (uno di suoi libri più conosciuti è ‘L’Architettura della Realtà’) eppure aveva una visione del mondo hegeliana. Per lui il distacco dalla Realtà – nella fase progettuale - è indispensabile per poter generare la conoscenza del reale (realtà ed esistenza sono due cose diverse…). Se consideriamo la realtà come fenomeno storico – immersa cioè nella sequenza temporale Passato-Presente-Futuro -, la conoscenza può avvenire esclusivamente sul piano dell’astrazione. E’ quindi sul piano oggettivo che va cercata l’essenza della cosa. Essendo la realtà sempre storica, perché essendo costituita di linguaggio non può non esserlo, non è quello il luogo dove cercare l’essenza ma è la dimensione cosiddetta oggettiva che va indagata per la ricerca del ciò che è della cosa architettonica. La dimensione oggettiva (l’oggetto architettonico) scaturente dal processo di allontanamento dalla realtà (il progetto-astrazione) fa ritorno nella Realtà e, una volta definita la sua giusta forma tramite il linguaggio (la Tecnica nel caso specifico), è così in grado di imporre la sua Identità nella Realtà e di modificarla assumendo quel carattere politico, cioè trainante, che una architettura civile deve necessariamente avere, se non si vuole che l’architettura rimanga relegata – come è - a spettacolarizzazione del mercato dell’edilizia.