Il Palazzo dell’Acqua e della Luce all’E42 a Roma

Grande aula e ipostilo: una architettura oltre il tempo

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 27 Febbraio 2021

Quando cerchiamo di comprendere la natura delle cose, analizziamo l’espressione della cosa che abbiamo davanti - la sua forma - a caccia di qualcosa che sta dietro, di ciò che con quella cosa viene espresso, fino al punto in cui non è più possibile andare oltre. In quel punto si trova ciò che è più vicino (mai coincidente) con il significato della cosa. La comprensione della forma è come un processo di liberazione da ciò che si frappone tra noi e il significato, e questo percorso di analisi può avvenire solo attraverso la forma che abbiamo davanti, ‘causa sui’, grazie ad essa. Quando quel ‘profondo’ si palesa in maniera lampante, ovvero quando il significato ‘si mostra nella stessa apparenza’ della forma, quando l’apparenza-forma non è di ostacolo al significato ma è essa stessa mezzo per indicarlo con chiarezza, in quel momento si è di fronte alla Bellezza. Le forme dell’architettura, cercando la bellezza, hanno sempre indagato quel profondo, anzi lo hanno sempre evocato: più un’architettura è in grado di far apparire le sue tracce e più possiamo fare esperienza della potenza della bellezza. Il profondo dell’architettura è la Necessità. I grandi edifici del passato mostrano con chiarezza, nella costruzione intesa come espressione della necessità, il motivo del loro esserci. Quella espressione della necessità informa sempre le ragioni della forma architettonica. Nel Palazzo dell’Acqua e della Luce, un edificio per la «mostra storica della luce artificiale» che fosse anche «una grandiosa fontana sfolgorante di luci e giuochi d’acqua» (così recitava il bando) progettato da Albini, Gardella, Minoletti, Palanti e Romano per l’esposizione Universale di Roma del 1942, si ha la possibilità di toccare il profondo attraverso la sua forma architettonica ‘in un lampo’. Il gruppo di progettisti individua due elementi: un volume limpido a pianta quadrata – spazio coperto destinato alla mostra - e un informale gruppo scultoreo - corrispondente alla fontana chiesta dal bando - ponendoli in dialettica tra loro su un bacino d’acqua a pianta rettangolare: «la dovizia impetuosa dell’acqua, la sua mobilità senza freno di forma cerca il proprio simbolo nel movimento quasi barocco della scultura: ad essa impongono disciplina la precisione e la fermezza dell’architettura» (G. Veronesi, 1941). E’ l’edificio destinato alla mostra a esprimere la necessità a cui prima si è accennato. Nella sua ideazione gli architetti individuano due archetipi spaziali che hanno sempre contraddistinto l’edificio collettivo: l’edificio ad aula e lo spazio ipostilo, tentando una sintesi il cui risultato possiede una grande forza evocativa. L’edificio ad aula consiste nella possibilità di realizzare uno spazio coperto sgombrato dagli elementi di sostegno della copertura, così da permettere la presenza di un grande numero di persone sotto un unico ‘riparo’; l’ipostilo è un sistema costruttivo-spaziale che attraverso l’iterazione dei sostegni verticali (in greco: ‘ipo’ significa sotto e anche ‘tra’; stilos significa colonna) allude alla illimitatezza dello spazio naturale. Due spazi con caratteri diversi che convivono in un meccanismo dialettico perfetto, che poche volte è stato raggiunto in architettura. All’interno del palazzo la sottesa illimitatezza del carattere spaziale dell’ipostilo viene rafforzata da passerelle aeree – il percorso dei visitatori - che attraversano i puntuali sostegni (qui in legno) su due piani, permettendo la visione delle turbine, delle lampade, dei fari, appesi al soffitto. Nulla è concesso alla decorazione; sono previste solo raffigurazioni affrescate lungo le facce interne delle pareti che definiscono la grande aula. All’esterno, la grande aula viene definita dal volume del prisma, e le pareti sono sospese, non toccano a terra, lasciando intravedere i sostegni dell’ipostilo interno e lasciando passare la luce alludendo alle sorgenti luminose poste all’interno. La grande aula diviene il temenos (area sacra recintata, spazio delimitato protetto degli dei che lì risiedevano nella loro ‘sede’ terrena, ove trovare rifugio) della modernità, coincidente con una forma che, evocando gli archetipi, si sospende dal tempo chronos per rivolgere il dialogo all’eternità senza passato, senza presente e senza futuro dell’aion. Il Palazzo dell’Acqua e della Luce è un grande capolavoro dell’architettura che purtroppo non fu costruito.

Didascalie immagini:
- Il progetto del Palazzo dell’Acqua e della Luce all’Expo ’42 di Roma, 1939.