Palladio e il principio di non contraddizione dell’architettura.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Domenica, 20 Settembre 2020

«Il fatto che oggi il problema di un linguaggio proprio dell’architettura venga costantemente eluso dimostra soltanto che forse per il momento siamo anche riusciti a disfarcene, ma questo non vuol dire che tale questione non si ponga oggi negli stessi identici termini di allora.» Così scriveva Giorgio Grassi nel 1974, a proposito dell’architettura intesa come mestiere, un mestiere considerato come uno straordinario discorso unitario sulle questioni della costruzione. In tale riflessione non può non vedersi la concezione che, per essere tale, un discorso presupponga elementi di certezza. Nell’architettura di Palladio, e come sempre è accaduto sino al ‘900, gli elementi certi sono quelli del linguaggio dell’architettura classica, gli ordini architettonici. Ma il linguaggio classico è uno strumento per costruire (Monestiroli, 2013). I suoi ‘Quattro libri dell’architettura’ sono la sua architettura, così come i suoi edifici sono il suo trattato. Gli elementi che conformano quel discorso non sono una categoria ideale distaccatasi dalla necessità costruttiva. Il dialogo tra ideale e costruzione è serrato, mettendosi l’un l’altro reciprocamente alla prova, in ragione di una concezione che vuole la coincidenza e l’unità delle due visioni. L’architettura è attività conoscitiva in vista di un fare, che ha una sua autonomia fondata sulle regole di un discorso aperto e continuo. Il Trattato palladiano potrebbe apparire come un manuale di regole per costruire, ma ciò non è: tale carattere non vuole appiattire l’attività del costruire a mere regole pratiche per la costruzione di ogni tipo di spazio, ma semplicemente aderire a uno dei principi fondamentali della bellezza in architettura (che Giorgio Grassi ha definito il ‘principio di non contraddizione’ dell’architettura) che è quello di non poter (ovvero di non riuscire a) contraddire la natura della cosa da costruire: una casa, pur sottoposta alle più colte, raffinate e potenti sollecitazioni di una fervida immaginazione, non può essere altro – alla fine del processo progettuale - che una casa. Palladio si mette alla ricerca paziente della nuova ‘bella maniera‘ a partire dal discorso già cominciato. Era sempre accaduto: la grande civiltà Romana proseguì il discorso aperto dalle conquiste estetiche dei Greci, rifondandolo anche su nuovi presupposti e prospettive senza mai ignorarlo. Nei suoi Quattro libri si legge: «dare in luce i disegni di quegli edifici che in tanto tempo, e con tanti miei pericoli ho raccolto, e ponere brevemente ciò che in essi m’è parso più degno di considerazione; e oltre à ciò quelle regole, che nel fabbricare ho osservato, e osservo». ‘Più degno di considerazione’ è ciò che meglio definisce l’identità dell’edificio da costruire, la sua riconoscibilità; al punto che – in vista di questo obiettivo - non teme di variare le proporzioni classiche per far meglio aderire gli elementi del linguaggio adottati al carattere dell’edificio. I due fronti di templi di diversa dimensione, sovrapposti per dar forma alla facciata delle sue chiese, come in San Giorgio Maggiore a Venezia (1568-1610), sono una soluzione che presuppone certamente aspirazioni estetiche ma anche una soluzione legata ai problemi della costruzione dello spazio dell’edificio chiesa (la differente altezza delle due navate). Palladio cioè non disdegna di adottare due diverse scale dimensionali dei due fronti di Tempio per sovrapporli, con un modus operandi di una incredibile (post)modernità. Quei fronti di Tempio sono le ‘parole’ del tempo - di quel tempo - che cercano di portare a chiarezza l’identità tipologica dell’edificio chiesa. L’architettura moderna si è liberata dal codice classico, ma i problemi compositivi (estetici) sono sempre legati alla definizione della natura della costruzione. Tutto ciò che va fuori dal discorso continuo dell’architettura è contraddizione. O parodia.


Didascalie immagini:
- Andrea Palladio – San Giorgio Maggiore, Venezia (1568-1610).