Schinkel e il paesaggio italiano.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 7 Marzo 2020

“Leva lo sguardo verso il mondo! Non è esso come un ondeggiante corteo trionfale nel quale la natura celebra la sua eterna vittoria su tutto ciò che è corruttibile?” (Iperione, Holderlin).
L’architettura genera luoghi. Ma è anche generata dai luoghi. È il caso dei paesaggi e delle architetture costruite dalla immaginazione di Karl Friedrich Schinkel (1781-1841), l’architetto del Principe Federico Guglielmo III di Prussia, durante i suoi ripetuti Gran Tour in Italia. I suoi paesaggi disegnati non sono paesaggi naturali ma ‘culturali’, come le architetture immaginate e disegnate non sono la classicità, ma l’idea del Classico. Schinkel progetta nella sua vita molti capolavori, egli è uno dei maggiori ‘creatori di identità della cultura europea del XIX secolo’ (F. Irace). Tutte le sue architetture - costruite a Berlino - sono frutto di uno spirito immaginifico tradotto con metodo profondamente razionale attraverso un riordino sintattico di quanto aveva visto nei suoi Grand Tour, con mire riconducibili a una ricostruzione identitaria della Classicità tout-court. Tutti i grandi architetti sempre tornano al fuoco dell’Origine, ‘sia pure come sotto la cenere’, e con essa si misurano. Schinkel va disegnando le architetture della Magna Grecia ma le disegna sempre immere nel loro paesaggio, con una visione a distanza, perché il paesaggio – ‘quel’ paesaggio - è materiale compositivo di quelle architetture: questo è il motivo per cui quella architettura, i templi, sono nate in quei luoghi e non in altri contesti, in un serrato rapporto dialettico. Per questo egli non è un visionario ma un costruttore, e la sua è una lezione specificamente operativa (G. Grassi); comprende che anche il contesto va ‘costruito’ e l’idea di architettura si fa portatrice di tale ruolo, generando il luogo. Si potrebbe affermare che la sua grande lezione – tra le altre - è l’indicazione della compresenza dialettica della dionisiaca Natura (phisys) e della apollinea Baukunst (arte della costruzione) pensate in Uno. Ma la natura italiana immaginata da Schinkel non è la natura Romantica ‘costruita’ nelle incisioni da G. B. Piranesi. I suoi ‘progetti fantastici’ (Villa Laurentina 1833, Palazzo sull’Acropoli di Atene 1834, Palazzo ad Orianda 1838, ecc) sono ricostruzioni filologiche, dove la filologia la si intenda come ‘ricerca delle essenze’ (Colli). I suoi sono viaggi paralleli a quello fatto nella realtà, non solo del suo tempo ma di ogni tempo; con essi Schinkel costruisce la sua idea di architettura, che non è la riproposizione del modo di fare degli antichi, né tantomeno una riconfigurazione soggettiva degli stilemi classicisti, ma un reale contributo agli avanzamenti della koiné del Classico oltre il tempo. Nel progetto fantastico per la residenza di un Principe (1835), egli mette insieme, con sintassi paratattica, un inventario di diversi corpi di fabbrica rappresentativi – ognuno con un suo carattere – lungo un grande edificio in linea contenente spazi funzionali al palazzo. E’ un elenco di trasgressioni dalla sintassi Classicista, di invenzioni pescate nel suo personale ‘armadio delle Muse’. Questa modalità compositiva anticipa modi e forme spaziali e getta il seme di quello che avverrà nell’architettura del Moderno. La sua architettura ci dice, con Novalis, che “l’antichità non ci è data in consegna di per sé – non è lì a portata di mano; al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare.”

 

Didascalie immagini
K. F. Schinkel, Residenza di un Principe, 1835. Elaborazione grafica di Pier Giuseppe Fedele