La bellezza ha una voce ed è quella di una sirena. (I capolavori dell'architettura)

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Domenica, 20 Dicembre 2020

E’ sempre stato difficile afferrare la Verità, eppure le grandi attività intellettuali dell’uomo la cercano, girano intorno ad essa, finanche quelle che ne negano l’esistenza o che ne descrivono il suo statuto di parzialità. La verità è sempre lì, ferma guarda l’uomo da una posizione che risulta essere inafferrabile. Dirla è la grande impotenza dell’uomo; la possibilità di alludervi è la grande forza dell’uomo e della verità stessa, anche in architettura. Ogni capolavoro è lì a testimoniare la capacità di avvicinarsi ad essa insieme alla incontrovertibile impossibilità di farlo. Nel piccolo racconto ‘La Sirena’ del 1957, Tomasi di Lampedusa descrive la storia dell’avvicinamento della sirena Lighea, figlia di Calliope, accaduto al protagonista del racconto, tal senatore Rosario La Ciura – grande studioso di greco antico - il quale al Corbera, voce narrante e personificazione di un ordinario interlocutore, racconta: «mi narrava della sua esistenza sotto il mare, dei Tritoni barbuti, delle glauche spelonche, ma mi diceva che anche queste erano false apparenze e che la verità era ben più in fondo, nel cieco muto palazzo di acque informi, eterne, senza bagliori, senza sussurri». La verità appare attraverso ciò che si vede, è lì sempre davanti a noi, ma assume sembianze che bisogna saper leggere. Per cogliere la verità, Eros deve impossessarsi di noi; la sirena, adolescente millenaria, lasciva e belvetta crudele insieme, “madre saggissima che con la sola presenza aveva sradicato fedi, dissipato metafisiche”, seduce il senatore, con un sorriso che esprimeva solo se stesso, dicendo: «Ti sentivo parlare da solo in una lingua simile alla mia: mi piaci, prendimi». La bellezza chiama, dicevano i greci; essa è sintesi di verità e sapienza, è il racconto di questa potente im-mediatezza di verità e sapienza in cui natura e immortalità si confondono, così come accade nella figura della sirena, nella quale è impossibile distinguerle. I grandi capolavori dell’architettura sono sempre ‘memoria non di un passato ma di un futuro assoluto, infinitamente lontano, capace di cogliere però ciò che in potenza è sempre presente’ (Masiero, 2007). Sono tutti tentativi, come nell’antico mondo dei greci, di dare forma alla sintesi di sensi e ragione, alla unione di teoria e prassi, mai viste antiteticamente, apollineo e dionisiaco insieme. La theoria è ciò che determina l’interesse generale di quanto è dietro a una forma, la sua parte costitutiva e costruttiva; la prassi è la forma accidentale, contingente, che assume quel sistema logico, in quel dato momento. Fare valere l’uno sull’altro, come spesso accade, è soluzione parziale, inadatta a produrre Conoscenza. Per questo l’architettura combatte con il tempo, con l’inessenziale, cerca nel ‘ciò che è’ la durata, la possibilità di superare il tempo-krònos, vivendo il paradosso di dover fare i conti con il reale. Sempre ci «sforziamo di accedere alla prospettiva della continuità, che presuppone il superamento del limite, senza uscire dai limiti di questa vita discontinua» (Battaille). La bellezza, la verità, che in architettura sono sinonimi, hanno l’aspetto dell’erotismo che trapela nella descrizione che della sirena Lighea fa Tomasi di Lampedusa: «riversa poggiava la testa sulle mani incrociate, mostrava con tranquilla impudicizia i delicati peluzzi sotto le ascelle, i seni divaricati, il ventre perfetto: da lei saliva quel che ho mal chiamato profumo, un odore magico di mare, di voluttà giovanissima. […] a venti metri da noi la marina si abbandonava al sole e fremeva di piacere». La metafora del mare e del sole, per descrivere l’eternità e indicare la bellezza, appare perfetta anche nei versi di Rimbaud: «Elle est retrouvée./ Quoi? L’éternité./ C’est la mer allée/Avec le soleil.». Il sorriso della sirena agisce sempre su di noi, ci dice che è «immortale perché tutte le morti confluiscono in [lei], e radunate ridiventano vita non più individuale e determinata ma panica e quindi libera», rivelandoci ‘paradisi di dimenticate serenità’.


Didascalie immagini:
- Le Sirene e Odisseo, Stámnos attico a figure rosse, V secolo a.C.