Nocera, Souto Moura e il castello Fienga.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 21 Marzo 2020

In un’intervista del 1993, l’architetto portoghese Eduardo Souto Moura (1952) indica due modi di affrontare il riuso-recupero degli edifici storici: usare le rovine come una sorta di “pezzo contemplativo in cui la rovina cessa di essere architettura e diventa natura”, oppure utilizzarle in continuità con la storia di quella costruzione, quindi come atto costruttivo. A questo secondo approccio si rifà quando nel 2005, insieme con l’arch. Nicola Di Battista, si misura con il progetto di riuso e recupero del Castello Fienga di Nocera Inferiore, per il quale produsse solo pochi schizzi. Il cosiddetto ‘Castello del Parco’ (la cui storia architettonica risalente al X sec. ha visto interventi in epoca Angioina, Aragonese, Normanna) è oggi composto da tre parti: un corpo di fabbrica ben conservato corrispondente alla antica residenza dei Fienga (costruito sull’architettura del palazzo ducale di Ferdinando I Carafa, e ristrutturato anni fa con dubbio gusto), una torre risalente all’epoca Normanna del castello e i ruderi del castello di età Angioina. Souto Moura – premio Prizker per l’architettura 2011 (è il Nobel dell’architettura) – guarda a essa con occhio da architetto-costruttore con l’intenzione di far rinascere una architettura lavorando sul suo possibile ‘nuovo senso’. Egli mira a rendere il castello Fienga una costruzione contemporanea pensando l’organismo architettonico come vivente. C’è un disegno teorico del 1986 di Souto Moura in cui è sintetizzata questa idea di architettura come costruzione, sotteso anche ai suoi interventi sulle preesistenze, che può tradursi così: ‹‹l’Egitto passa la colonna alla Grecia che dopo averne regolato la misura l’ha trasmessa a Roma che dopo aver aggiunto l’arco e la volta, affida al Romanico le sue scoperte che il Gotico venuto dall’Oriente eleva, che il Rinascimento estende introducendo un’altra scala ancora, tra cui il Barocco e le sue varianti Neoclassiche e così via fino al Movimento Moderno, all’industria, al calcestruzzo, al ferro…fino a Mies van der Rohe. ›› (D. Machabert,‘Au Thoronet le diable m’a dit…’ - Francia 2012). Questa successione di problemi costruttivi risolti non ha nulla a che fare con questioni linguistiche, ma mette a fuoco la sostanza della ‘cosa architettonica’. L’architetto portoghese a Nocera si concentra sui ruderi Angioini, immaginando di realizzare lì un teatro ricostruendo un ‘intero architettonico’ con le tre parti del Castello, attraverso nuovi percorsi che dotano l’insieme di nuovo senso. Così facendo, analogamente ai suoi più famosi progetti di recupero-riuso come quello per l’abbazia Thoronet (2007), il bellissimo Convento dei Bernardini (2009), ecc., tutti in Portogallo, annulla le distanze tra atto costruttivo e restauro (senza che la costruzione originaria appaia come un falso) proseguendone la vicenda costruttiva. La grande architettura è al di sopra di ogni possibile complesso di inferiorità rispetto alla Storia: il Rinascimento italiano, che sorge sulle ceneri di una gloriosa antichità, ne è la più evidente manifestazione. Leon Battista Alberti, quando interviene sul Tempio Malatestiano a Rimini, non pensa da costruttore? Non ‘riscrive’ quella preesistenza secondo il ‘suo disegno’, risemantizzando le ‘parole’ dell’antico? È colpa grave aver abbandonata la possibilità di realizzare a Nocera l’intervento di un grande architetto.