Casa Wittgenstein: un teorema per raggiungere gli dei

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 5 Dicembre 2020

«Giustizia è il riassorbimento nell’àpeiron, il cessare dell’individuazione», anzi «giustizia è il rientrare delle cose nell’àpeiron. L’àpeiron è in sé un principio che annulla ogni ordine, ogni individuo, è l’infinito, l’indeterminato»: così Colli scriveva nel 1939 a proposito del concetto di àpeiron-infinito di Anassimandro. Il senso di giustizia così inteso, la suprema giustizia che è ben oltre la sfera limitata e individuale, non guarda alle cose del mondo, finite per definizione: è sguardo del tutto, superamento del finito. Come può quel desiderio di infinito superare la mondanità se è costretto ad ‘abitare’ l’unico mezzo che l’uomo ha per ‘dare forma’ al mondo, ovvero se è costretto nel linguaggio? ‘Dire l’infinito’ è quindi un paradosso. L’unico modo per dire l’àpeiron diviene – paradossi dei paradossi – il tacerlo, dove tacere diviene sinonimo di sentire. Il linguaggio non è mezzo per comprendere il mondo ma limite nel viverlo, sbarramento della semplicità a causa della complessità (Caffo, 2020). Questo è il teorema mistico di Ludwig Wittgenstein che si riflette nella casa che progettò a Vienna, per le sorella Gretl nel 1926-29, a partire da un progetto dell’arch. Paul Engelmann. Il filosofo alle prese con il linguaggio dell’architettura non agisce per sottrazione di ‘parole’ – come verrebbe da pensare comparando le architetture di Adolf Loos - ma per riduzione della cosa alla sua più vicina ‘indicibilità’. Wittgenstein usa il rasoio in filosofia e lo stesso rasoio lo usa in architettura, e la riduzione è ugualmente estrema. Ogni scelta aspira non solo al suo statuto logico ma si spoglia di ogni ombra legata alla mondanità, abbandona materia, stile, categorie, ornamento, per divenire luce che illumina – nel pensiero - ciò che è oltre. Il bianco di Wittgenstein è colore senza qualità, immaterialità essenziale per dar forma a uno spazio che annulla ogni possibile ‘valore’ perché ogni qualsivoglia valore è sempre fuori dalla logica: «L’esplorazione della logica significa l’esplorazione di ogni conformità a una legge. E fuori dalla logica tutto è accidente» (W.) È quindi un errore pensare che il risultato sia uno spazio nichilista: nulla è più distante dal nichilismo come la casa di Wittgenstein; è invece uno spazio che si appoggia alla sua struttura analitica e che assume le sua forma (apparenza-parvenza…) ‘dentro’ quella struttura. Il filosofo, sebbene parta da un impianto planimetrico della tipica residenza borghese (pianta chiusa con enfilades di settecentesca memoria), pensa per la casa della sorella a uno spazio inattuale, a soluzioni la cui risultante è puro pensiero, non astrazione ma esperienza viva di quel pensiero: tutto è a partire dai ‘fatti’ e dalla logica interna che li fa esistere, in stretto rapporto con la nudità del loro statuto. Wittgenstein definisce la forma delle cose con estrema attenzione alle proporzioni e alla misura. Ogni finestra, porta, chiusura, maniglia, radiatore, sono pensati «come se fossero strumenti di precisione. […] Ludwig aveva un così profondo senso delle dimensioni che per lui contava spesso anche mezzo millimetro», come scriverà la sorella Hermine nel suo diario negli anni ‘40. Solo il puro pensiero può tirarci fuori dalla Storia, dal tempo. Solo da quella distanza dal mondo, eliminando qualsiasi teleologia, è possibile sentire la totalità del Reale. Casa Wittgenstein appare ‘matematica’: l’espressione di quella idea assume forza ed energia vitale proprio esprimendo l’impossibilità del dire, è calcolo che trova il respiro dell’àpeiron-infinito, di cui tutti fanno esperienza vivendo il mondo, senza poterlo dire; è quel rientrare delle cose nell’àpeiron di cui parlava Colli. Spazio profondamente tragico quindi, e per questo profondamente Classico. E’ forse per questa classicità del risultato (da intendere ovviamente non in senso formale) che la sorella Hermine, definendola “hausgewordene Logik”, cioè ‘logica diventata casa’, scrisse: «Essa mi sembrava piuttosto una abitazione per gli dei».


Didascalie immagini:
- Casa Wittgenstein a Vienna (1929).
- Ludwig Wittgenstein