Architettura e Città in un grande capolavoro del ‘900 di Razionalismo realizzato
Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"
«L’essenza è in sé una volontà, un amore che esaurisce il mondo nel senso che non può aver nulla all’infuori di sé in quanto essenza; ma la sua natura tende ad altre volontà, ad altri amori, ad essa sygghenés [consanguinei, dello stesso ghénos]»: questa affermazione di Colli del 1938 potrebbe essere vista come descrizione esatta del rapporto che vige tra architettura e città, relazione per la quale le architetture, nel definire sé stesse, vanno definendo la città. Una teoria che ha trovato valore emblematico nel progetto del quartiere residenziale Gratiot/Lafayette Park, elaborato per la città di Detroit-Michigan-USA nel 1956 dai “due Ludwig” dell’architettura (Dal Bo, 2010), i due maestri tedeschi Ludwig Hilberseimer e Ludwig Mies van der Rohe. È nel termine ‘amore’ – apparentemente fuori luogo se non lo si pensa in senso filosofico - che risiede quanto è messo in forma nel Lafayette Park, amore inteso come armonia tra gli opposti o, per utilizzare, non a caso, un termine albertiano, come concinnitas: «ordinare secondo leggi precise le parti che altrimenti per propria natura sarebbero ben distinte tra loro, di modo che il loro aspetto presenti una reciproca concordanza» (Alberti, 1485). È lo stesso Hilberseimer a indicare l’oggetto della comune ricerca quando, a proposito delle architetture dell’amico Mies, scrive: «La sua architettura è una buona risposta agli interrogativi dell’Alberti, se non il loro superamento» (1956), indicando nella proporzione il mezzo con il quale – insieme alla nozione di spazio – l’architettura tocca la bellezza. Proporzione che si riflette, a partire dalla logica delle architetture, nella forma d’ordine della città. E infatti l’impianto del Lafayette Park è governato da rapporti armonici (pare si possa rintracciare, nel suo impianto planimetrico, l’uso della sezione aurea – Dal Bo, 2010) con il quale Hilberseimer definisce e ordina le relazioni tra gli edifici in ragione della loro natura: case basse ed edifici a torre che determinano, nel loro relazionarsi al suolo-natura, la misura delle parti che compongono l’insediamento. La loro collocazione dialoga con l’“altro da sé” incarnato dallo spazio Natura; è dal nesso che si genera tra le singole parti che si configura il senso del complesso sistema pensato da Hilberseimer: una griglia ortogonale ordina i blocchi delle residenze basse (case a patio e a schiera), in rapporto diretto con la Natura, destinate alle famiglie con figli, mentre le case alte vengono poste su un piano di posa che si dimensiona in funzione della loro altezza, così da evitare che la propria ombra possa finire sui blocchi residenziali bassi. Le strade sono studiate in modo che i percorsi pedonali non intercettino mai il traffico automobilistico (risolvendo il problema di sicurezza dei collegamenti con la scuola e con gli edifici collettivi, previsti ma non realizzati); anzi, con estrema intelligenza, le strade di penetrazione dell’insediamento e le aree di parcheggio vengono poste a una quota inferiore rispetto ai percorsi pedonali così che, attraversando le aree collettive del parco, le auto scompaiano dalla vista. Anche gli elementi naturali vengono sottoposti alla ferrea ‘critica della ragione’ di Hilberseimer: con l’aiuto del paesaggista A. Caldwell la vegetazione che dà forma al parco è tale da favorire l’irraggiamento solare nel periodo invernale e la protezione in quello estivo. Nel Lafayette Park si manifesta un ideale di perfezione attraverso la ricerca meticolosa di una legge d’ordine, delle cose e tra le cose, sostenuta da un teorema che non viene solo teorizzato ma dimostrato con la sua realizzazione. È un capolavoro architettonico perché l’equilibrio non è solo tecnico-estetico: la concinnitas di ‘questa’ modernità è ricerca di equilibrio tra le parti e il tutto anche sul piano etico-sociale, mira cioè all’unità di Sistema fondato sulla certezza di dover avere «[…] sempre presente il detto di Socrate: quella soluzione nella quale risulti evidente che nulla si possa mutare se non in peggio, è da reputare la migliore.» (Alberti, 1485).
Didascalie immagini:
- L. Hilberseimer e L. Mies van der Rohe, Lafayette Park, Detroit 1556.