Gregotti, il disegno e la ‘Monnaie Vivente’ di Klossowsky.

Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"

Pier Giuseppe Fedele | Sabato, 28 Marzo 2020

Chi si trova a disegnare una architettura può imboccare due possibili strade: aderire alle condizioni imposte dalla cultura del tempo che vive oppure tentare di violare quelle convenzioni, contrastarne l’ossequio ipotizzando un alternativo ‘possibile necessario’ (Gregotti), per tentare di modificare lo status-quo. E’ questa la premessa alla visione critica dell’arch. Vittorio Gregotti (1927 – 2020) venuto a mancare, all’età di 92 anni, il 15 marzo scorso. Egli fu progettista, direttore di prestigiose riviste di architettura (Casabella, Rassegna), docente universitario, teorico (“Il territorio dell’architettura” 1966, ‘Questioni di architettura’ 1986, Dentro l’architettura’ 1991, ‘L’architettura nell’epoca dell’incessante’ 2006) - e architetto di numerosissimi progetti e realizzazioni – come Gregotti Associati - in tutto il mondo. Il disegno di un’architettura quindi non è e non può essere solo strumento, è un mezzo portatore di telos, è il datore di senso di quell’operare. Vittorio Gregotti in uno dei suoi numerosi libri (Tre forme di architettura mancata, 2010) delinea, attraverso una acuta comparazione tra il ‘Disegno’ e la sua attuale trasformazione in ‘Design’, la situazione nella quale si trova l’architettura oggi. Egli va scrivendo che il disegno (cioè il progetto) è un momento di conoscenza della realtà finalizzata alla sua modificazione, contiene in sé una «intenzionalità e una ricerca di senso», una «tensione verso il frammento di verità» che un’opera architettonica (estetica tout-court) non può non farsi portatrice, se vuole essere coerente con la sua necessità. Il ‘design’ è, al contrario, una forma di rispecchiamento della realtà, di riduzione della ragione a strumento di ‘problem solving’, di pensiero ridotto a convenienza in quanto ingranaggio del sistema mercato, di rispecchiamento della cultura del consumo e di riduzione dell’idea al suo aspetto comunicativo: insomma, una riduzione del mezzo a produttore di segni (comunicativi), portatore dell’ «indifferenza tra un paio di scarpe, l’arte contemporanea lituana o un candidato alle elezioni politiche». Il design ha ridotto il disegno alla totale identificazione con il suo valore di scambio, ovvero è in atto il tragico fenomeno descritto nel 1970 da Pierre Klossowsky ne “La Monnaie Vivante”: ogni prodotto e ormai ogni fare umano è divenuto simulacro del mercato degli scambi, finanche il pensiero si è prostituito per entrare nella logica monetaria. Si assiste quindi a una inversione: è la totale antropomorfizzazione dell’economia e degli scambi: quella «tensione verso il frammento di verità» dell’architettura, nel momento in cui mira ad essere riconosciuta dal sistema riduce il suo valore a moneta. Eppure Gregotti a tutto ciò – come un vero intellettuale dovrebbe fare - opponeva resistenza: scriveva della necessità del disegno come esperienza (da experior: tento, penetro), essenziale strumento di indagine della realtà e mezzo insostituibile di conoscenza del ‘progetto del presente’ da infuturare. Egli fonda su queste basi – che vengono da lontanissimo - la sua idea di architettura come modificazione della realtà, crede nella necessità dell’esercizio del pensiero negativo (cioè critico) della realtà quale fondamento primo del mestiere di architetto: la sua è una lettura critica della realtà, realtà come Storia. Ma la Storia è ‘pregiudizio dell’esistente’, è sempre interpretazione dei fatti. E il progetto architettonico è sempre giudizio di quei fatti, se vuole tentare – pena la sua inutilità - di dare una consapevole direzione al divenire.


Didascalie immagini:
- Centro Ricerche Montedison, Portici (NA), 1978
- Centro Ricerche Montedison, prospettiva interna
- Piano per edilizia economica e popolare, Cefalù (PA), 1979
- Università della Calabria, Cosenza (CS), 1974