La natura artificiale del Moderno
Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"
L’albero è sempre stato portatore di simbolismi complessi: simbolo della vita, del sacro, genealogico, politico, filosofico. L’arte ha sempre indagato questa sua dimensione simbolica, anche nel moderno. C’è un disegno bellissimo di Paul Klee che raffigura un albero ‘visto’ attraverso l’occhio moderno e per questo trasformato rispetto alla sua forma realistica-naturalistica. In esso sembra emergere l’essenza stessa dell’idea di albero. È famosa la sua similitudine tra artista e albero che espresse in una conferenza nel 1924, nella quale, in via di sintesi, affermò che «l’artista contempla le cose che la natura gli pone sott’occhio già formate, con occhio penetrante. E quanto più egli penetra, tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi all’ieri; tanto più gli si imprime nella mente, al posto di un’immagine naturale definita, l’unica, essenziale immagine, quella della creazione come genesi». La rappresentazione di una cosa diviene (solo) così forma di conoscenza, ovvero ri-presentazione e mai mimesis. Ciò che l’occhio vede, ciò che quella visione produce (il latino pro-ducere significa porre, mettere avanti) è conoscenza. La conoscenza essenziale della realtà è quindi un processo di astrazione generata da una intuizione prodotta dall’occhio, e la forma ‘avvertita’ in questo processo – la forma essenziale - ritorna in forma di elaborazione intellettuale. In architettura, tra le forme più belle di alberi sottoposti a questo processo vi è l’albero in cemento disegnato da Robert Mallet-Stevens (1886-1945) per l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes all’Expò di Parigi nel 1925. Nella ‘Ricostruzione futurista dell’universo’, a partire dalla metà degli anni ‘10, il Futurismo aveva già tentato di leggere la natura sottoponendola al processo di astrazione di cui si è detto, attraverso la Flora plastica di Depero o, alla metà degli anni ’20, con i ‘Futurfiori’ di Balla, ma si trattava dell’invenzione di forme portatrici di altri significati rispetto alla riflessione sulla dimensione essenziale della forma albero. Degli alberi di cemento di Mallet-Stevens, realizzati in collaborazione con gli scultori Jan e Jöel Martel, non è interessante l’appartenenza alla moda estetica di quegli anni – che raggiunse il suo climax proprio all’esposizione parigina di quell’anno – con la quale si cercava la traduzione di tutte le forme possibili nel ‘nuovo gusto’. Questo approccio produsse, e colpevolmente produce ancora, il peggiore kitsch possibile. Quello che risulta interessante di quell’albero è il suo valore plastico e spaziale, architettonico: una composizione di piani geometrici trovano che trova la ‘giusta’ posizione degli elementi attraverso un equilibrio che, pur non riferendosi ai piani geometrici rinvenibili nella chioma di un albero naturale, ci riporta all’oggetto della conoscenza, ci fa ritornare a esso e ce lo fa conoscere per quello che è. Nella forma intesa come atto di conoscenza, la forma-albero naturalista è ciò in cui si ‘crede’, la forma-albero trasfigurata nel processo compositivo che produce la nuova forma è ciò che si ‘conosce’. La conoscenza di un oggetto è l’unica possibilità per fare esperienza della realtà ed è solo grazie a questo processo che possiamo trovarci di fronte alla «rivelazione di mondi altri» (Florenskij, 1908). È il valore conoscitivo dell’operazione compositiva che sta dietro all’albero di Mallet-Stevens l’unico in grado di giustificare la nuova forma, fornendo l’unica possibilità che abbiamo di venire a contatto con l’essenza delle cose. Sempre Paul Klee ebbe a scrivere: «Noi dobbiamo volere qualcosa di simile – una pura similitudine – a ciò che la natura crea: non qualcosa che voglia farle concorrenza, ma qualcosa che significhi: qui è, come in natura».
Didascalie immagini:
- L’albero di Paul Klee e gli alberi in cemento di Robert Mallet-Stevens all’Expò di Parigi del 1925.