Articolo per la rubrica "L'architettura dopo la Storia" per "il Quotidiano del Sud"
E’ nella esperienza quotidiana di tutti che un bicchiere qualsiasi assolve sempre – brutto o bello che sia - alla sua funzione se permette di contenere l’acqua che dovrà essere bevuta. Dov’è allora la necessità del Design? Perché dovremmo avere necessità di inventare sempre nuove forme di bicchiere, una volta determinata la forma migliore per ogni specifica funzione? Il Design nacque dalla volontà di intersecare la ricerca estetica con le esigenze della produzione industriale, così da poter rappresentare, negli oggetti stessi, lo spirito della nostra civiltà; è sempre stato così. Le esperienze provenienti dal mondo del passato – quello dell’artigianato – assistettero a un ribaltamento: dalla semantica del gesto della mano fattrice, rilevabile a processo produttivo concluso si passò, con il Design, a porre l’attenzione sul momento iniziale del processo di invenzione formale, ovvero sul progetto. Progetto che è da intendere – con Argan – non solo come disegno dell’oggetto, ma anche come processo di programmazione e pianificazione della sua produzione di serie. Due aspetti inscindibili che, nel giudizio estetico, tengono insieme la forma dell’oggetto stesso. Dei due aspetti citati, nei fatti, quello della programmazione e della pianificazione, essendo governato dal Principio Economico, ha finito per divorare quello della ricerca estetica mirante alla determinazione del significato dell’oggetto. L’oggetto è stato così ridotto a merce, dove per merce debba intendersi ciò che è figlia del momento, destinato e progettato per avere vita breve così da rinnovare senza sosta il Principio Economico che la sostiene. Eppure c’è chi ha resistito a tutto ciò. Enzo Mari, che ci ha lasciato lo scorso 19 ottobre, fu il designer che più di tutti ha opposto resistenza, con i suoi oggetti, al comando del Principio Economico divoratore di ogni necessità di significazione delle forme. Anzi, nel quadro culturale appena descritto si potrebbe dire che fu l’anti-Economico per eccellenza, la sua fu una ferrea volontà di resistere criticamente alla forma dominata dalle sole leggi del mercato, e questo non perché egli ne fosse escluso ma semplicemente per salvaguardare la necessaria autonomia di pensiero che una ricerca estetica seria impone. L’unico principio di Autorità a cui si sottopose, l’unico comando, rimase sempre lo stesso: quello di dar conto alla ragione delle forme, alla loro logica (progettava design logica-mente, come nessuno ormai), alla ricerca dei significati di ogni singolo (di)segno. I suoi oggetti, a ben vedere, sono una critica estetica radicale di quanto è figlio della logica mercantile. I suoi oggetti hanno valore pedagogico e mostra la sua chiarissima visione: con ‘Camicia’, del 1961, un cilindro in alluminio anodizzato, tagliato su due lati, fa da ‘camicia’ a un vaso in vetro trasparente, così da permetterne la vista del contenuto; con ‘Ameland’, del 1962, una lama in acciaio inox satinato viene leggermente deformata a elica per acquisire il suo ‘significato’ di tagliacarte, ecc. Ma c’è di più. Mari ha sempre considerato la valenza sociale del design, partecipando anche a una stagione – quella degli anni ’60 – che aveva visto diversi designer-artisti cercare la radice delle forme su quel piano di ricerca (Munari, Dalisi, ecc). Egli raggiunse la fase più alta della sua critica al Principio Economico, divoratore del libero pensiero, con l’idea di “Proposte per un autoprogettazione”: una serie di disegni – regalati a tutti! - in grado di aiutare chiunque a realizzarsi gli arredi necessari ad abitare. Come un’applicazione del concetto di ‘depense’ di George Battaille, Mari esercita qui un estremismo ideologico e provocatorio che aveva come obiettivo il superamento del narcisismo da designers che, già allora come oggi, aveva anestetizzato tutti.
Didascalie immagini:
- Enzo Mari, Autoprogettazione, 1974.